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The "BIT-TAX": the case for further research

Ovvero

The "BIT-TAX": economia della miseria o miseria degli economisti?

Appunti di analisi ad una tipica relazione politica.

LUC SOETE, è il presidente del Gruppo di Esperti di Alto Livello sulla Società dell'Informazione nominato dalla Commissione Europea. Professore di Economia Internazionale e Direttore del Merit all'Università del Limburgo.
Il rapporto "Building the European Information Society for Us All" - rapporto preliminare di un gruppo di esperti indipendenti istituito dalla Commissione Europea per fornire una consulenza sugli aspetti sociali e societari della società dell'informazione - contiene una raccomandazione per la ricerca su "modi appropriati per mezzo dei quali i benefici della società dell'informazione (SI) possano essere distribuiti più equamente tra coloro che ne beneficiano e coloro che ne vengono svantaggiati. Questa ricerca dovrebbe concentrarsi su politiche realizzabili praticamente a livello europeo, che non mettano a repentaglio l'emergere della SI. Più specificatamente, il gruppo di esperti gradirebbe che la Commissione intraprenda ricerche per capire se una "bit-tax" potesse essere uno strumento fattibile per raggiungere questi scopi redistributivi."

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Il fatto che una tassa sulle trasmissioni sia il primo risultato del lavoro di un gruppo di esperti sulla Società dell'Informazione crea comprensibilmente una certa incredulità, specialmente tra coloro che hanno riposto le loro speranze verso una rinnovata espansione della crescita economica in Europa e nel mondo sull'ondata delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Notevoli sono le reazioni estremamente negative degli utenti Internet individuali. Tutte le risposte ricevute finora via e-mail ­varianti da "you schmuck" a "hands-off the Internet" - esprimono il timore di un possibile tentativo dello Stato di tassare la comunicazione e la libertà di parola. Infine, anche da parte dei tecnici esperti la reazione è stata generalmente negativa: i "bits" sono o saranno una misura irrilevante dell'intensità della trasmissione; sono difficili se non impossibili da monitorare; "l'ampiezza di banda" è in effetti infinita, eccetera. La relazione ha ottenuto il parere negativo degli utenti e degli esperti di rete, ma di tutto ciò il "nostro presidente" non si cura minimamente, dimostrando come, per l’ennesima volta, la volontà politica non sia l’espressione di una volontà degli elettori, principio basilare di democrazia, ma bensì un modo per ottenere maggiori vantaggi personali.
La principale argomentazione economica a favore di una "bit-tax" è abbastanza ovvia. Man mano che la nostra economia diviene sempre più caratterizzata dalla produzione, dalla distribuzione e dal consumo di beni intangibili a partire da una economia caratterizzata dalla produzione, dalla distribuzione e dal consumo di beni tangibili, diventa rilevante chiedersi se l'attuale base impositiva sia ancora adeguata. Storicamente, i beni da noi consumati erano fisici, e perciò la produzione, la distribuzione e il consumo di questi beni risultava facilmente tassabile. Gli input necessari per la produzione potevano essere facilmente misurati, il valore aggiunto generato dall'intero processo di produzione industriale e di distribuzione poteva essere facilmente determinato e il consumo finale facilmente localizzato. Oggi, man mano che le attività economiche divengono crescentemente concentrate in transazioni immateriali di informazione, una grande parte di queste concatenazioni di valore diventa invisibile; così invisibile che una sostanziale parte di esse evapora, incorporata in beni o servizi materiali, occultata infine in un accresciuto surplus non misurato, ma evidente, del consumatore. La principale argomentazione economica a sfavore di una "bit-tax" è abbastanza ovvia. Quando la produzione dei beni era soprattutto materiale c’era una logica abbastanza evidente alla necessità di una tassazione. Per esempio: una tassa sull’acqua minerale serve (almeno in parte) alla copertura delle spese necessarie alla costruzione delle strade su cui passano gli automezzi che riforniscono i commercianti per far si che sia capillare la distribuzione del bene. Inoltre un’altra parte serve per rimediare ai danni dell’inquinamento che questi mezzi producono, e cosi di seguito. Ora la produzione di beni immateriali non giustifica la costruzione di nuove strade, anzi semmai disincentiva gli spostamenti inutili con il telelavoro (bisognerebbe spiegarlo al governo italiano che non è più il momento di incentivare i trasporti in quanto anacronistici, ma si sa, i politici arrivano alla realtà sempre con parecchi anni di ritardo). Ci meravigliamo molto che un qualche "esperto presidente" non abbia ancora proposto di tassare il riempimento della bottiglia d’acqua ignorando il valore del bene contenuto in quanto irrilevante. Bevuta l’acqua minerale potremmo, per esempio, riciclare la bottiglia per annaffiare le piante producendo così un ulteriore bene: l’annaffiatoio.
Ovviamente nessuno sostiene che bisogna smettere di pagare il giusto sul cavo necessario al collegamento dei computer o di altri beni analoghi, ciò che non comprendiamo è la tassa come obbligo anche al di là della sua effettiva utilità. Come se fosse un dogma religioso. Effettivamente l’unica giustificazione alla nuova tassazione che abbiamo riscontrato in questa relazione è quella di mantenere le schiere di "sacerdoti della burocrazia". La libertà religiosa è incontestabile ma non vediamo alcun motivo per sostenerne una in particolare pubblicamente, lasciando alle altre l’autofinanziamento.
Un bene viene tassato anche in caso di eredità in quanto in grado di accrescere il valore della proprietà dell’erede, ma nel caso in cui venga considerato un bene anche l’informazione come potremo applicare una tassa anche sul passaggio di tale bene ai nostri figli o parenti? Applicando una tassa su ogni parola detta in famiglia potremmo risolvere adeguatamente il problema, ma in tal caso dovremmo applicare anche tasse sullo studio scolastico creando un evidente contrasto con la norma costituzionale (almeno per l’Italia) in cui si sancisce il diritto gratuito allo studio.
Questi guadagni invisibili sono, come è stato approfonditamente argomentato nel recente "Rapporto sulla Tecnologia, la Produttività e la Creazione di Lavoro dell'OECD", alla base del cosiddetto paradosso Solow -- il fatto che nelle statistiche ufficiali sembriamo non notare i benefici delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione. Questi guadagni sono anche, come crescentemente accettato negli USA, alla base della significativa "sovraestimazione" dell'inflazione nelle cifre ufficiali del Consumer Price Index, ragione per cui il crescente surplus del consumatore associato a nuovi e migliori beni e servizi è stato sistematicamente ignorato. Perciò esiste, secondo Cordell, come minimo il sospetto che parte dei guadagni della produttività e del consumatore derivanti dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione siano scomparsi nelle reti di produzione e distribuzione e non si siano tradotti in prezzi più bassi oppure in profitti o salari più alti. Internet sta determinando una nuova forma di rapporto societario e quindi nuove regole. Cercare di ricondurre tale nuovo "modus vivendi" in una concezione di vecchio tipo necessariamente genera dei paradossi. Come il ben noto paradosso di Limenz in cui si analizzava il fatto che costruendo monolocali abitativi si creava l’impossibilità di sistemare adeguatamente le mucche senza danno per la loro integrità psichica. Tuttavia qualcuno si è accorto che la creazione di una società industriale consentiva di risolvere il problema semplicemente concentrando la dislocazione di tali utili e simpatici animali in costruzione apposite e creando una rete distributiva del latte sufficientemente capillare.
La stessa cosa avviene con Internet, le regole stanno cambiando. Speriamo che qualcuno se ne accorga e cominci a pensare di ristrutturare la società anziché cercare di riclassificarla negli schemi della società tribale generando paradossi inesistenti.
Al tempo stesso, beni tradizionalmente distribuiti fisicamente stanno diventando crescentemente disponibili attraverso i networks. La tassazione della distribuzione di questi beni, che ha tradizionalmente costituito una delle basi essenziali delle entrate nazionali, statali e persino locali, sta subendo di conseguenza un rapido processo di erosione. E' stato stimato che negli USA l'uso di Internet da parte di consumatori individuali che usano la rete per accedere a compagnie di vendita per corrispondenza, esentate dalle tasse di vendita, ha prodotto una riduzione delle entrate statali provenienti dalle tasse di vendita di oltre 3 bilioni di dollari nel 1995.
Più generalmente, si può osservare che il semplice fatto di non aggiustare la base impositiva di una nazione implica automaticamente una non neutralità dei differenti sistemi di distribuzione e comunicazione; i sistemi di comunicazione più moderni evitando, accidentalmente o deliberatamente, il sistema prevalente di imposizione fiscale. La differenza tra il sistema di tassazione delle vendite americano e il sistema europeo (VAT) è esemplificativa a questo riguardo.
È sconcertante osservare come vengano prese ad esempio statistiche (peraltro non documentate e come tali soggette alle numerazioni più variegate: 3 milioni di $, 3 bilioni di $, 3 biliardi di $, o, a scelta, 3 flipper di $) e regole statunitensi per giustificare una legge europea. In Italia la tassazione si applica anche alle vendite per corrispondenza e credo che ciò avvenga anche nel resto dei paesi europei.
Negli USA, è più o meno per un caso - l'esenzione delle compagnie di vendita per corrispondenza dal sistema di tassazione locale - che la distribuzione elettronica stia erodendo la tassazione locale; in Europa è il prelievo della VAT (Value Added Tax, l'IVA italiana, n.d.t.) sui servizi (banking, assicurazioni, telefonia, ecc.) a venire eluso a causa delle possibilità di accesso globale e di delocalizzazione dei fornitori di questo tipo di servizi per mezzo di Internet. Allo stesso tempo, i fornitori di beni e servizi che usano mezzi tradizionali divengono meno competitivi dato che essi devono pagare le tasse sui loro beni e servizi visibili e facilmente rintracciabili. Questo concetto è stato riscontrato in realtà già vissute come la scomparsa del negozietto sotto casa a causa del proliferare dei supermercati che, acquistando merci in grosse quantità, potevano offrire ai consumatori i lori prodotti a prezzo maggiormente competitivo e quindi costringere alla chiusura i piccoli negozianti. Tuttavia, in alcuni casi, tali negozianti anziché chiedere un’imposizione fiscale superiore alle nuove forme di commercio per costringerle a non espandersi, vi si sono adattati . Alcuni entrando nella gestione dei supermercati, altri riqualificando il prodotto da essi fornito e coprendo quindi il buco generato dalla vendita dei prodotti di massa.
Non vorremmo scoprire che questa relazione fosse suggerita, considerato la scarsa cura scientifica con cui è stata preparata, da individui che vedono la rete come "avversaria" più che come "amica".
Mandate una lettera per posta o tramite un corriere e le tasse saranno pagate sul francobollo o sul documento di spedizione; fate una chiamata telefonica e, almeno in Europa, verrà applicata la VAT sulla bolletta telefonica; ordinate il rapporto del gruppo di esperti su "Building the European Information Society for Us All" dall'Unione Europea e pagherete la VAT sui costi postali. Per via elettronica, tuttavia, la tassazione su tutte queste transazioni è praticamente nulla (con l'eccezione della VAT sul costo del paio di secondi di dial-up e i costi della telefonata locale). Inoltre, dato che c'è un'inferiore distribuzione fisica di questi beni, verranno incamerate meno entrate provenienti da tasse di vendita o VAT. Più in generale si può dire che per come sono attualmente configurati i metodi di prelievo fiscale sulla distribuzione di beni e servizi dei governi è probabile che le reti elettroniche porteranno sistematicamente ad un calo del livello di imposizione e di riscossione delle tasse. Se analizziamo i costi di una lettera tradizionale e li paragoniamo a quelli di una e-mail otteniamo questa tabella di costi annuali:
Strumentazione Costo   Strumentazione Costo
Matita L.200   Computer (3MLire / 2 anni) L.1,500,000
Carta + busta L.300   Abbonamento (annuo) L.476,000
Francobollo L.850   Telefono (30 minuti giornalieri) L.752,215
1 lettera al giorno L.839,500   Energia elettrica L.300,000
Totale L.839,700   Totale L.3,028,215
Differenza     360.63%  

in cui sono state equiparate le condizioni di utilizzo (peraltro non corrispondenti ad un utilizzo reale della rete in quanto i costi telefonici, e quindi le tasse relative, salgono notevolmente).
Notiamo che, a parità di comunicazione, l’utente Internet paga in tasse triplicate rispetto ad un utente non Internet.
Ci sono alcune considerazioni da fare: la prima è che avviene molto più frequentemente in Internet di mandare un e-mail giornaliero piuttosto che nella vita al di fuori della rete e questo tende ad aumentare notevolmente il dislivello fra i diversi corrispondenti (secondo Harberg il rapporto è di 1:100, quindi grazie ad Internet si pagano 360 volte più tasse), inoltre l’utilizzo della rete determina un incremento della vendita di beni e servizi che pagano a loro volta le tasse.
Ciò che meraviglia maggiormente è la grossolanità delle analisi del "presidente del Gruppo di Esperti di Alto Livello sulla Società dell'Informazione nominato dalla Commissione Europea. Professore di Economia Internazionale e Direttore del Merit all'Università del Limburgo" che non riesce a vedere più globalmente i vari aspetti dell’economia con cui ci confrontiamo giornalmente.
Si consuma meno carta (giornali su Internet, libri, riviste e corrispondenza) quindi si è più ecologici (possiamo permetterci di licenziare il ministro addetto al rimboscamento ed un paio di sottosegretari, diminuendo il bisogno di tasse dello stato).

E' perciò semplice la principale motivazione economica a favore di un passaggio della base impositiva dal tangibile verso l'intangibile. Come appena uno o due secoli fa le discussioni economiche erano dominate dalla "corn-tax" riflettendo l'importanza del grano per l'economia nazionale, oggi il tema dominante dovrebbe essere come i governi possono aggiustare la loro base impositiva in linea con i cambiamenti della struttura economica verso una SI, e alla crescente importanza della trasmissione delle informazioni per la produzione economica ed il consumo. Spostare la base impositiva verso una tassazione basata sui bits o i bytes elettronici individuali appare da subito il più diretto e logico metodo di tassazione.Come afferma Cordell: "La nuova prosperità delle nazioni va cercata nei trilioni di bits di informazioni digitali pulsanti attraverso le reti globali." Questo è il metodo più classico per inibire assolutamente ogni prospettiva di prosperità per gli esseri umani creando con tasse inique e malponderate una cerchia di legislatori che determinano un interesse privilegiato di una minoranza di persone che in un ciclo produttivo (di beni od informazioni) si troverebbero, probabilmente, costrette a lavori incentrati esclusivamente sull’impegno fisico. Come sostiene Martell: "Il benessere dei popoli è un recinto con cui creare una riserva per i politici incompetenti. Anche mantenedoli a caviale e champagne costerebbero alla collettività molto meno in quanto gli si proibirebbe di fare danni."
Essi sono la manifestazione fisica/elettrica delle molte transazioni, conversazioni, dei messaggi vocali e visuali e dei programmi che, presi nel loro complesso, registrano il processo della produzione, della distribuzione e del consumo nella nuova economia... il valore che viene aggiunto deriva dall'interattività. E' questo valore a fornire produttività ai networks". Da questa prospettiva è illuminante l'analogia tra le tasse sulle autostrade e quelle sulle "autostrade dell'informazione". Come nel caso dell'automobile vengono pagate imposte sul carburante o pedaggi sulle autostrade fisiche, sulle superautostrade dell'informazione il traffico digitale viene tassato per bit. L’imposta sul carburante viene pagata anche dal mezzo elettronico in quanto la corrente elettrica è il carburante dei computer, il canone di abbonamento equivale al pedaggio sull’autostrada. Quindi se riduciamo il discorso all’essenziale eliminando tutti i termini inutili otteniamo "Poiché entrambi i cittadini pagano le tasse è giusto e logico che alcuni cittadini paghino il doppio". Non sappiamo che "studi" abbia fatto il nostro "emerito presidente", tuttavia ci rammarichiamo che non fossero previsti esami di "giustizia comparata" e "logica pura".
Come già menzionato, la principale imposta applicata su produzione e consumi nei paesi dell'UE è la VAT. Essa fornisce agli Stati membri individuali una base impositiva crescentemente armonizzata, permettendo la tassazione dei beni e servizi nei loro vari punti di produzione e di creazione di valore aggiunto. Un sistema basato sulla VAT è ideale nel caso di produzione di beni e servizi materiali. I contributi di valore aggiunto da parte dei singoli intermediari sono quantificabili in modo relativamente facile, consistendo il valore del bene/servizio finale in modo relativamente diretto dell'amalgamazione di questi vari inputs.
Nel caso dei servizi di comunicazione ed informazione è molto difficile parlare in maniera sensata o realistica di una tassa sul valore aggiunto. Tassare il valore aggiunto di una conversazione telefonica applicando una certa aliquota di imposta sul costo di una chiamata ha poco significato in sé. Il costo della comunicazione non avrebbe nessuna relazione con il possibile valore della stessa ma sarebbe piuttosto una funzione della distanza (locale/lunga distanza) e del tempo di durata (secondi/minuti) della comunicazione.
Tale concetto è estremamente pericoloso perché induce gli utenti a pagare la bolletta telefonica il 19% in meno dell’importo in quanto in contraddizione con il termine "valore aggiunto". Valgo forse di più se telefono alla ragazza (o ragazzo) e dico "mi ami? ma quanto mi ami?"?
L’autoriduzione delle bollette telefoniche è già stata utilizzata in passato, ma credo sia sempre stata punita dalla legge. Invitiamo perciò a non seguire tali consigli sovversivi.
Noi proponiamo che la "bit-tax" si inserisca nella prospettiva più ampia di sostituire i sistemi di tassazione basati sulla VAT su beni e servizi immateriali con un sistema impositivo basato sulla trasmissione, ovvero un sistema nel quale l'imposta sia applicata proporzionalmente "all'intensità" della trasmissione delle informazioni o della comunicazione. Al fine di fornire una indicazione di questa intensità di trasmissione Il numero di bits o bytes è considerato come un'unità più rappresentativa del tempo o della distanza. Solo nel caso di sistemi che usino un numero costante di bits per secondo, come in una conversazione telefonica, si avrebbe una relazione diretta tra tempo di durata ed intensità di trasmissione. Quali sono i bits per secondo delle conversazioni telefoniche? Potremmo inquadrarli con i fonemi che compongono le parole. Quindi, in base alla solita logica incomprensibile, dovremmo supporre che una conversazione telefonica di persone diverse, purché di identica durata, trasferiscano sul doppino telefonico un egual numero di fonemi?
Vorrei avere la registrazione degli esperimenti che anno condotto a tali conclusioni e che sicuramente il "nostro presidente" possiede.
In altre parole, una "bit-tax" non sarebbe collegata in nessuna maniera diretta all'effettivo "valore" di una comunicazione, mentre si concentrerebbe piuttosto sulla trasmissione di informazione. Da questo punto di vista è il numero di bits a "contare", siano essi trasmessi ad un tasso costante nel tempo come in una comunicazione telefonica o siano essi trasmessi a pacchetti sulla larga banda come in Internet. All'atto pratico, la proposta di una "bit-tax" implicherebbe l'adozione di dispositivi di misurazione dei bit a tutti i dispositivi di comunicazione (simili ai contatori elettrici), permettendo così ai consumatori e agli utenti il monitoraggio del volume dei bit trasmessi, sia via linea che via satellite. Non ci sarebbe differenza tra l'accesso di un utente a un messaggio di posta elettronica proveniente da un amico o una massiccia transazione finanziaria. L'ammontare pagato sarebbe basato solo sul numero di bits trasmessi. Questo crediamo sia il passaggio più eclatante di tutta questa relazione. La negazione totale da parte "dell’esperto" dell’equità fiscale. Non importa se la transizione ti fa guadagnare miliardi (il sopracitato valore aggiunto) o semplicemente lustrarti gli occhi con lo "scaricamento dell'ultima foto di Pamela Andersen in costume da bagno"; paghi uguale. Anzi, sarebbe già vergognoso se fosse così, tuttavia, come ben noto, una transizione di solo testo è notevolmente meno pesante (parliamo di bit trasmessi) di un’immagine, perciò chi scarica la foto paga notevolmente di più. È la totale contraddizione del "valore aggiunto", infatti determina la legge: meno vale più paghi.
L’articolo 53 della costituzione italiana afferma: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività". La "bit-tax" deliberatamente ignora tale norma.
È tipico dei politici utilizzare un "titolo" universalmente riconosciuto come giusto per costringere ad accettare una legge profondamente ingiusta, mascherandola con un linguaggio "comprensibile solo dagli esperti".
Notevoli sono in tal senso sono le affermazioni del presidente del CED della cassazione (un altro presidente "esperto"), in un’intervista concessa recentemente ad una famosa rivista italiana d’informatica, nella quale si pone in dubbio la necessità di porre gratuitamente a disposizione del pubblico inesperto la totalità delle leggi italiane, prendendo come giustificazione la difficoltà, da parte dei non esperti, di consultazione, ignorando totalmente l’affermazione "la legge non ammette ignoranza" costringendo i cittadini ad una difficile (ed a volte impossibile) reperibilità delle leggi.
Questo ammontare verrebbe mantenuto molto basso: Cordell ha proposto una tassa di 0.000001 centesimi/bit (1 centesimo a megabit), e nessuno conosce realmente quale sarebbe il suo effetto in termini di entrate governative totali o di costi per le compagnie o per gli utenti individuali. In un recente intervento ad una conferenza sul telelavoro, il Ministro belga delle Telecomunicazioni Di Rupo ha fatto riferimento ad una cifra di 1018 bits trasmessi da e verso il Belgio. Al tasso proposto da Cordell, ciò implicherebbe un sostanziale aumento delle entrate fiscali governative: circa 10b$, o circa il 4% del PIL del Belgio. Ad una recente conferenza, Lewis Platt, CEO e Presidente della Hewlett-Packard, ha reso noto che HP usa correntemente la sua dorsale Intranet principale ad un tasso di circa 5 Terabyte al mese (ovvero 480 TB all'anno). Assumendo per un momento che questo traffico interno di bits possa essere monitorato, ciò implicherebbe una "bit-tax" totale pari a circa 4.8 milioni di dollari sulle entrate totali mondiali di HP di circa 32 bilioni di dollari nel 1995, con circa 5 b$ di profitti. In altre parole, una tassa di meno dello 0.1% dell'ammontare dei profitti. Paolo ha proposto una tassa di 1 $ a Mbyte, Arturo ha proposto 1 L. a Tbyte, Filippo 1 pallina da flipper per ogni 735 bits trasmessi. Perchè deve essere presa in considerazione la cifra proposta da Cordell dal momento che non ha neppure calcolato l'introito (almeno teorico) dei paesi interessati? Su che base è stata stabilita la cifra? Forse simpatia per la vicina di casa? Se è così anche le nostre basi sono più che consistenti, quindi "cha famo"? Tiriamo a sorte?
Esempio di calcolo utilizzato è una Intranet. Ma come, non si parlava di tassazione Internet? Questo significa che ci si propone di monitorare anche le trasmissioni locali. Se, per esempio, abbiamo in ufficio un DNS dobbiamo pagare per il numero di IP dinamico assegnatoci (noto "valore aggiunto" ottenuto). A questo punto non ci conviene spegnere il computer spesso in quanto pagheremmo più di tasse che di corrente elettrica. Come sosteneva il "presidente" questa è una notevole dimostrazione di risparmio ecologico indotto dalla tassa.
Inoltre nuovamente viene preso come modello quello statunitense (utilizzatori di Internet pari all’ottanta per cento di quelli mondiali) per giustificare una "giusta, logica ed equa" tassa europea.
E' più difficile calcolare a quanto ammonterebbe questa tassa per gli utenti individuali, anche se la navigazione o il trasferimento di particolari set di informazione possono facilmente essere calcolati. Molti utenti di Internet sarebbero felici di sapere, per esempio, che il costo in termini di "bit-tax" dello scaricamento dell'ultima foto di Pamela Andersen in costume da bagno sarebbe inferiore a mezzo centesimo di $. Vorremmo conoscere quegli utenti Internet citati (ne abbiamo consultati parecchi e nessuno risponde a tali caratteristiche) che si sente particolarmente felice di dover pagare mezzo centesimo (i centesimi di $ fra noi valgono poco, bisognerà spiegarglielo prima o poi che in Europa si vorrebbe utilizzare l’Euro e non il $) di pagare a qualcuno un servizio offerto da qualcun altro il cui unico "apporto" fornito alla rete è stato di: rallentamento, propaganda elettorale, controllo, censura e tassazione. Purtroppo anche qui viene fornito un dato fondato sulla fiducia delle capacità di analisi sociologica del "presidente".
Tuttavia un metodo più pragmatico e più in linea con l'idea della sostituzione con la "bit-tax" di tutte le VAT sui servizi di informazione e comunicazione potrebbe implicare l'identificazione di un'aliquota fiscale per bit più o meno equivalente al costo della VAT totale della bolletta telefonica media di un utente. In questa maniera si eviterebbero alcune delle (molto esagerate) reazioni negative sul possibile impatto negativo della "bit-tax" sul futuro sviluppo dei "call centre" e di altre nuove attività basate sui servizi di informazione popolari in molti dei piani europei di sviluppo regionale, considerati come la principale nuova fonte di occupazione del futuro. Viene finalmente prospettata una possibile "dimostrazione d’utilità" della tassa. Se la "bit-tax" sostituisse le tasse attuali sulla comunicazione non si avrebbe una diminuzione dell’utenza Internet. Anzi, si spenderebbe come la tassa sul telefono di casa. Tuttavia, come si evince dall’introduzione, la proposta di questa nuova tassa è in funzione di una carenza di tassazione in questo senso, quindi non si capisce bene quali tasse essa dovrebbe sostituire. Inoltre, secondo la solita "ferra logica" dimostra che tassare i bit significa la risoluzione dei problemi della disoccupazione. Come ben si sa dal noto principio di Fermat: "se a=b quindi anche n=y".
Ma discutere di questi come anche di altri aspetti pratici del problema a questo stadio significa creare dei castelli in aria. Noi non abbiamo affrontato, "faute d'expertise", i problemi tecnici coinvolti. È forse necessaria una spiegazione all’evidente dimostrazione di grossolanità con cui viene affrontato il problema?
Ovviamente è molto facile scartare l'intera idea di una "bit-tax" sulla base di motivazioni tecniche, quali, ad esempio, che i bits non possono essere monitorati, come nel caso delle comunicazioni via satellite. Tuttavia, la motivazione per l'uso dei bits risiede nel fatto che essi sono una unità di misura elettronica pronta all'uso che riflette la trasmissione di dati o informazioni. Ovviamente, potrebbero essere o potrebbero diventare disponibili unità di misure elettroniche più appropriate del "bit" come unità di tassazione. Il punto è che c'è certamente una misura che darebbe una qualche indicazione dell'intensità di trasmissione anche usando le comunicazioni satellitari e il monitoraggio della quale sarebbe relativamente semplice. Ulteriore dimostrazione di logica. Poiché tecnicamente realizzabile risulta evidente un’immediata attuazione del progetto. Infatti, ci siamo sempre chiesti il motivo del rifiuto alla costruzione di una base lunare permanente. Forse perché troppo onerosa ed inutile? Eresia. "È tecnicamente realizzabile quindi necessaria.".
Ma il punto fondamentale dell’affermazione precedente è che sarebbe necessaria la creazione di un ruolo tecnico in grado di approntare le apparecchiature utili al monitoraggio e ciò comporterebbe l’assunzione di 2 ministri, 5 sottosegretari, 32 portaborse, 17 autisti, 63 guardie del corpo, 27 impiegati, 76 uscieri, 5 direttori tecnici ... ed un risolutore del problema. Costo reale 3 milioni di lire italiane., costo effettivo 3 bilioni di $ (ecco perché serve la bit-tax).
Questa misura potrebbe non essere attualmente evidente, ma, come già detto, la proposta di "bit-tax" implica la progettazione di nuovi strumenti di misura per registrare e tracciare l'intensità di trasmissione. Siamo d'accordo con coloro che si chiedono se le entrate della "bit-tax" sarebbero o no sufficienti a coprire questi costi di addebito: è precisamente questo l'oggetto della ricerca proposta. Il timore che i costi della bit-tax siano coperti dalle entrate è espresso anche dal "nostro presidente". Ma qual è l’utilità di una tassa che si pareggia autonomamente se non quello di mantenere "presidenti e commissioni" completamente inutili?
La letteratura su metodi nuovi ed alternativi di fissare i prezzi dei servizi di comunicazione ed informazione potrebbe essere rilevante in questo campo. In un certo senso l'intera nozione di tassazione alternativa dei servizi di informazione è parte della discussione molto più ampia su come dovrebbe essere valutata l'informazione nelle nostre società, e in particolare il possibile passaggio a tariffe basate sull'uso. Quale letteratura? Scritta da chi? Uso di cosa? Il "presidente" ignora stranamente le fonti bibliografiche e realistiche. Dimenticanza od impossibilità?
Invece di affrontare i problemi di fattibilità tecnica, Ignoriamo le dimostrazioni d’inutile complicazione retributiva imposte della "bit-tax". È molto facile avere ragione rispondendo alle critiche dicendo: "Siccome la tua argomentazione può essere vincente, faccio finta che non sia mai stata espressa, delegando ad altri più competenti il superamento dell'ostacolo."Ma non era una commissione di "esperti"?
la ricerca proposta sulla "bit-tax" dovrebbe identificare una "aliquota ottimale", i costi per l'utente individuale medio, per piccole e grandi compagnie e l'ammontare totale delle entrate fiscali addizionali governative. Solo dopo questo passo sarà possibile una discussione reale sulla possibilità che la "bit-tax" abbia, e in quale misura, effetti negativi sulla competitività, l'occupazione futura, l'inflazione, la delocalizzazione, il futuro di Internet o anche la libertà di espressione. Dichiarare su basi aprioristiche che così sarà è pazzesco. Tentare di precludere anche la possibilità di investigare queste tematiche è anche più pazzesco e va contro le sfide creative che la società dell'informazione pone a tutti noi. Ciò che auspichiamo sono proprio le analisi di utilità di tale balzello, ma vorremmo che fossero fatte da persone competenti ed intelligenti. Le dimostrazioni precedenti di grossolanità nell’affrontare il problema identificano solo un gruppo di persone che anziché utilizzare il ragionamento preferiscono metodi empirici, causando danni a volte irreparabili. Ignorarne gli sviluppi negativi che tale tassa avrebbe nella trasformazione societaria che sta avvenendo significa solo dichiararne aprioristicamente la necessità, ottenendo il tipico risultato politico: fra una ventina d’anni un nuovo "presidente" proporrà una riforma del parto legislativo ottenuto dagli "esperti" precedenti perché così com’è non funziona.
Confrontata ad altre tasse, come la tassa ecologica sulla CO2 o la proposta Tobin di tassa sulle speculazioni, la tassazione della trasmissione delle informazioni non implicherebbe, almeno in prima analisi, la monetizzazione di alcun effetto negativo, ma piuttosto il contrario. La contraddizione discorsiva è qui più evidente: si finge di richiedere un’analisi di necessità mentre ora si sta cercando di dimostrarne aprioristicamente i risultati che si otterranno.
E' probabile che la sostituzione del trasporto fisico delle persone o dei beni con la trasmissione elettronica delle informazioni (come nel caso del telelavoro e almeno parzialmente nel caso del teleshopping) possa ridurre sostanzialmente le conseguenze negative per l'ambiente e per la congestione del trasporto economico e della crescita drammatica della mobilità tipica del modello di sviluppo industriale tipico della società postbellica. Perciò, almeno a prima vista, la proposta di una "bit-tax" non è giustificabile in termini di conseguenze negative. Corrisponde a verità il concetto che la rete sta ottenendo risparmi ecologici notevoli, ciò che non è chiaro è il motivo per cui il merito di tale operazione debba essere imputato alla "bit-tax". Anzi, il comprendere che tal evoluzione ecologica sia un bene dovrebbe far apparire lampante l’errore di una tassa che cerca di ostacolare tale progresso anziché favorirlo. Molto più intelligente sarebbe la proposta di una "non-bit-tax", in cui si richiede ai non utilizzatori della rete di pagare una "tassa-inquinamento". Così facendo si otterrebbe una quantità di Euro (e non di dollari) nettamente superiore come introito poiché sono in proporzione molto maggiore i non utilizzatori della rete rispetto ai navigatori.
Tuttavia, una "bit-tax" ridurrebbe una conseguenza negativa delle tecnologie delle reti con costi marginali bassi o nulli: la rapida crescita della congestione e della quantità di "spazzatura" e di informazioni irrilevanti trasmesse. Ritorna il vecchio concetto dell’ente superiore che decide quali informazioni siano giuste per il cittadino e quali invece siano "spazzatura". Altri "presidenti" usano il termine più chiaro di censura, ma il fine è identico: fornire solo informazioni utili al mantenimento del potere dittatoriale. Il vantaggio della rete è che le informazioni "spazzatura" dei "presidenti" e politici in genere è che hanno lo stesso valore di quelle (più serie) altrui.
La congestione è divenuta sempre più grave mano a mano che gli utenti accedono ad immagini a colori, files sonori, video - tutte applicazioni a grande ampiezza di banda. La crescita del numero di utenti (nel 1995 Internet è raddoppiata, come ha fatto ogni anno dal 1988) aumenta i problemi di congestione. Sebbene miglioramenti tecnologici possano aiutare a dare una soluzione al problema, la congestione verrà aumentata anche dai nuovi utenti combinati con l'accresciuto uso di applicazioni multimediali "pesanti". Per questa ragione, sia tra gli utenti che tra gli esperti di Internet c'è un accordo generale sul fatto che la congestione sarà un problema sempre più serio. L’adozione di tecnologie che controllano la quantità dei bit trasmessi non aiuta certamente a decongestionare le linee, anzi le intasa ulteriormente. Inoltre sottrae produttività alla ricerca per la soluzione del problema di aumento dell’ampiezza di banda per la costruzione di apparati completamente inutili e dannosi.
Per affrontare il problema della congestione, alcuni analisti hanno proposto di istituire schemi di tariffazione basati sull'utilizzo. La ragione alla base della tariffazione basata sull'utilizzo parte dall'assunzione che anche se l'ampiezza di banda cresce continuamente Internet è una risorsa scarsa ed è improbabile che possa "reggere" la crescita della domanda. Come detto da Mackie-Mason: "la congestione di Internet sta già ostacolando coloro che tentano di usare applicazioni durante le ore di picco del traffico. Il problema diventa particolarmente acuto quando accadono eventi speciali. Dopo che la cometa Shoemaker-Levy colpì Giove, ad esempio, e la gente scaricò le drammatiche immagini dei telescopi, grandi porzioni di Internet furono rallentate. In queste situazioni, trasmissioni urgenti come la videoconferenza tra un medico e un radiologo potenzialmente in grado di salvare una vita potrebbero essere mese in coda a un video casalingo che qualcuno ha messo in Internet solo per divertimento. Nessuno non ha mai precluso la possibilità di utilizzare linee dedicate per "scopi nobili". Tuttavia è abbastanza patetico l’utilizzo di una possibile "causa nobile" per giustificare l’utilità della "bit-tax". Sarebbe come sostenere che è necessario proibire il traffico delle automobili perché altrimenti un’ambulanza potrebbe non giungere in tempo per salvare una vita. Forse ne salveremmo una ma contemporaneamente ne uccideremmo milioni perché proibiremmo il lavoro e quindi anche la possibilità di nutrirsi. Una mente non presidenziale, ma sicuramente più concreta, ha pensato di dotare i mezzi di soccorso di lampeggiatori e strumenti acustici adeguati consentendogli così una precedenza assoluta su tutti gli altri veicoli (o quasi, sarebbe totale se abolissimo le "auto blu" e le scorte statali perché utili allo sviluppo mondiale come la "bit-tax").
In effetti, la rete può essere dominata da gente con un sacco di tempo da spendere, e non c'è nessun modo di comprarsi un posto "in cima alla coda". Chi dovrebbe avere un posto "in cima alla coda"? I "presidenti" come il nostro "esperto"? Con quale diritto? Hanno forse qualcosa d’intelligente da esprimere? Valgono più degli altri? Hanno il "sangue blu"?
Chi glielo spiega che il feudalesimo è terminato alcuni secoli fa?
Internet sta dimostrando che l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti.", non è un’utopia. Anche se questo da fastidio alla maggioranza dei "nostri politici".
Più in generale, c'è un certo accordo tra gli analisti sulla necessità di qualche tipo di disincentivo per diminuire il consumo di Internet. Se gli analisti citati sono i consulenti informatici, teorici di rete, sistemisti e affini, ne abbiamo consultato parecchi (vi invitiamo a fare altrettanto), ma non abbiamo riscontrato nessun accordo sul cercare di disincentivare l’uso della rete da parte di nessuno di loro. Anzi tutt’altro. Questo è il banale stratagemma politico di convincimento forzoso, in cui è sufficiente citare un presunto consenso d’esperti (minoranza non facilmente verificabile per l’eventuale conferma da parte della maggioranza che si sta inducendo verso l’accettazione della nostra tesi), per far accettare leggi inique e dannose. Tuttavia, in questo caso (ma anche in tanti altri temo) l’affermazione non corrisponde a realtà. È l’ennesima truffa politica.
Il problema economico principale è che non c'è nessun incentivo ad economizzare le informazioni dato che la differenza di costo tra mandare 1 byte al secondo o 1 milione di bytes al secondo è minima, spesso vicina allo zero. Da quest’affermazione emerge lampante che l’utilizzo degli "esperti" di Internet sia pagato da altri (con tasse) e quindi non degna di nota. Chiunque utilizzi Internet in Italia conosce bene la differenza fra un minuto di collegamento (302 Lit. pari ad uno scatto al collegamento più uno ogni 2’40" pagati anticipatamente) necessari per scaricare un byte ed una buona mezz’ora (Sempre ringraziando il "nostro presidente esperto" che fa di tutto per non affrontare il reale problema delle linee lente e costose, proponendo anzi di intasarle ulteriormente.) necessaria per scaricare 1Mbyte (1849.75 Lit. pari a 6.125 in più) senza considerare le (frequenti grazie al monopolio statale Telecom) cadute di linea che costringono a ricominciare da capo. Secondo questa "profonda" considerazione chi guadagna 1 milione al mese ha, più o meno, lo stesso tenore di vita di chi ne guadagna 6 e 125mila. Perché il "nostro presidente" anziché scrivere "spazzatura" sulla rete non scrive una bella letterina all’amministrazione del Merit in cui rinuncia ai 5/6 dello stipendio? Tanto non cambierebbe nulla per il suo tenore di vita.
Come sottolinea il Gruppo di Esperti: "per noi la differenza tra 'dati', 'informazioni' e 'conoscenza' e tra conoscenza 'tacita' e 'codificata' è di considerevole importanza. Dal nostro punto di vista, la generazione di dati non strutturati non porta automaticamente alla creazione di informazione, ne' tutta la informazione può essere assimilata alla conoscenza. Qualsiasi informazione deve essere classificata, analizzata e meditata o elaborata in altro modo per generare conoscenza. L'informazione, per noi, è comparabile ai materiali grezzi raffinati dalle industrie per ottenere prodotti utili. Uno dei principali effetti delle nuove ITC è stato una massiccia riduzione di costo e di velocità nell'accumulazione e trasmissione delle informazioni. Tuttavia, queste ITC non hanno un tale effetto sulla conoscenza, e ancor meno sulla saggezza. Uno dei principali problemi della IS è, perciò, sviluppare le capacità e la conoscenza tacita per fare un uso efficace di queste vaste risorse. Senza questa tacita conoscenza, navigare nei mari tempestosi dell'informazione in linea, con la sua disinformazione, la sua povertà qualitativa, la sua inaffidabilità e le sue promozioni pubblicitarie può indurre la nausea." Stavolta la congrega di "esperti" viene insignita della maiuscola iniziale per sottolineare il fatto che, essendo quella diretta dal nostro "caro presidente", è, senza ombra di dubbio, degna della "venerazione divina". Guai agli eretici che osano discutere il "vangelo". E, meraviglia delle meraviglie, cosa scopre la nostra congrega di saccenti? Bisogna filtrare (censurare) le informazioni sulla rete. Obbedite a coloro che sanno, o popolo bue, quale frutto mangiare e quale non deve essere neppure osservato. Concetto che bastava copiare dalla Genesi, risparmiando una buona dose di stipendi inutili e rendendo quindi ancor meno necessaria l’utilità di un’ulteriore tassa. Purtroppo per i "nostri sapienti" non siamo nell’Eden e, soprattutto, loro non sono Dei.
Certamente alla base della rapidissima crescita di Internet, della comunicazione mobile e di altre dorme di comunicazione elettronica sono state la facilità e l'economicità di accesso alle informazioni. Non c'è dubbio che contemporaneamente siano cresciuti i costi collegati al reperimento delle informazioni rilevanti. E' il ben conosciuto paradosso dell'informazione: come l'informazione diviene più economica e più informazione diviene disponibile, così cresce il costo per selezionare le informazioni rilevanti ed elaborarle. Riemerge preponderante la scarsa conoscenza della logica pura confondendo una normale logica conseguenza con il concetto di paradosso o di contraddizione fra termini. Una diminuzione di costo da una parte che genera un aumento dall’altra non si contraddice. Semmai si bilancia. Contribuendo a mantenere quell’ordine che il "nostro presidente" vorrebbe distruggere con la scusa di disciplinarlo.
Per esempio, ai "vecchi tempi" la gente usava sedersi, scrivere una lettera, metterla in una busta e spedirla. Questo sistema di comunicazione lento faceva sì che ci si pensasse due volte prima di spedire qualcosa, spesso riflettendoci sopra e valutando il valore di ciò che si stava per spedire. Alcune persone più anziane preferiscono comunicare molto di più per lettera che per telefono. Il fatto che la comunicazione postale abbia continuato ed ancora continui ad esistere insieme a quella telefonica mostra in una certa misura la complementarità piuttosto che la sostitutività di molte caratteristiche delle forme di comunicazione vocale e scritta. Non esiste nessun tentativo (di nostra conoscenza, ma i destabilizzatori dell’ordine costituito come il "nostro presidente" si annidano ovunque, quindi non ci sentiamo di giurarlo) da parte degli utilizzatori di Internet di proibire l’uso della lettera tradizionale né quello delle comunicazioni telefoniche classiche. Questo concetto evidentemente segue la regola base del convincimento delle proprie ragioni: partire da un presupposto vero ed universalmente riconosciuto (non necessariamente in rapporto diretto con il resto del discorso) per fare accettare la volontà del relatore.
Oggi, grazie alla facilità di inviare messaggi a molte persone allo stesso tempo, c'è poco tempo per la riflessione, se non punto. La reazione spontanea, immediata è divenuta la norma nella comunicazione via e-mail; velocità e volume alle spese del contenuto e della riflessione. Queste nuove caratteristiche della comunicazione elettronica sono chiaramente vantaggiose: sono più ecologiche (non è richiesta carta), sono efficienti "numericamente" (non è necessario riscrivere tante volte i propri messaggi) e veloci (diversamente dai messaggi postali, possono essere mandati e ricevuti quasi immediatamente). Tuttavia, vi sono aspetti negativi associati al sovraffollamento e al tempo perso per identificare ed isolare possibili informazioni importanti, che potremmo definire un problema di "inquinamento informativo". Una "bit-tax" potrebbe aiutare, in qualche misura, a ridurre questo "inquinamento". Ogni tassa è sicuramente un deterrente. Utilizzare un merito dello strumento che si desidera tassare appropriandosi del nome "non inquinante" per mostrare come sia presente anche nella nuova tassa serve per indurre nel ragionamento che essendo giusta la prima deve necessariamente essere giusta anche la seconda. Anche se, come nel nostro caso, si tratta di un parassita. Per esempio se un cane ha le pulci quindi anche le pulci hanno le pulci.
L’inquinamento informativo potrebbe ridursi anche con una legge adeguata ai loro introiti per i "presidenti" che intendono diffondere relazioni insensate e grossolane per diminuirne la presenza in circolazione. Perché non valutiamo l’urgente necessità di una "president-tax"?
In termini economici l'uso della monetizzazione dei costi marginali di beni comuni di rete come i servizi Internet può portare a quella che è stata chiamata una "tragedy of commons" - una situazione in cui una risorsa comune è sovrautilizzata causando danni insopportabili per la società nel suo complesso. Il motivo per cui un sovrautilizzo di una risorsa comune debba necessariamente causare un danno irreparabile non ci viene divulgato. Tuttavia la presenza della definizione fra virgolette, secondo l’autore, ne deve dare l’idea di "sicura veridicità".
Le teorie economiche ci insegnano che quando confrontati con una tale circostanza negativa, i prezzi dovrebbero superare il costo marginale di produzione per un ammontare uguale al costo marginale di congestione, riducendo l'uso della risorsa ai casi in cui il beneficio personale del consumatore sia più grande del costo sociale dell'uso. La "bit-tax", per quanto minuta, forzerebbe in altre parole gli utenti a concentrare il loro uso di Internet alle attività con benefici maggiori di questi costi sociali marginali. L’economia, secondo "l’esperto", insegna che se anziché possedere due case ne possediamo una sola e paghiamo più tasse siamo più ricchi. Riducendo le parole ad una maggiore semplicità è evidente l’inconsistenza dell’affermazione. Era prevedibile un’affermazione, a dir poco, balzana, fondandosi sulla precedente idea non dimostrata e quindi probabilmente inventata.
Un'altra area che potrebbe essere positivamente influenzata dalla "bit-tax" è la produttività del lavoro. Già alcuni datori di lavoro lamentano il fatto che certi lavoratori spendono più tempo a fare il surf sulla rete, a mandare messaggi personali di e-mail o giocando piuttosto che a compiere il proprio lavoro. Sebbene vi sia una componente di apprendimento in queste attività aggiuntive, c'è anche un costo significativo. Con tutte queste opzioni stuzzicanti a portata di mano non è stupefacente che la gente venga distratta dal proprio lavoro. Nel passato le compagnie hanno avuto simili problemi con l'uso del telefono, dove i dipendenti non sapevano resistere al telefono e spendevano lunghi periodi di tempo parlando agli amici o accedendo a linee di terze parti. Molte compagnie hanno risolto questi problemi dettagliando le bollette telefoniche per ogni linea telefonica interna all'organizzazione, facendo pagare ai dipendenti le chiamate personali, bloccando l'accesso alle linee da terze parti e bloccando l'accesso alle linee internazionali. Tutte queste iniziative hanno reso i dipendenti più avveduti nel loro uso del telefono. Ciò, combinato alla consapevolezza di essere monitorati, ha abbassato il desideri di abusare dei propri privilegi. Una "bit-tax", nella misura in cui introdurrebbe un elemento di "costo" nell'uso di Internet, potrebbe costituire un incentivo per una maggiore efficienza dell'uso della comunicazione elettronica sul lavoro. Ridurre i privilegi del networking non è chiaramente la risposta, dato che l'accesso alle reti aiuta gli impiegati a fare meglio il loro lavoro. Ora si rivolge agli imprenditori: "Pagherete più tasse ma vi farò guadagnare di più controllando il lavoro dei vostri dipendenti. Ho la soluzione ai vostri problemi. Fidatevi di me che so, ho gli esperti".
Veniva precedentemente illustrata la difficoltà esistente nel reperire le informazioni utili. Se aumentiamo i costi non otteniamo una maggiore facilità d’uso (i fornitori non pagano, ma gli utenti si, per cui non abbiamo meno informazioni presenti ma solo meno utenti) bensì un aumento dei costi ed una conseguente minore competitività sui mercati internazionali delle aziende europee. È strabiliante scoprire come un "esperto economista" non conosca neppure le "regole base del mestiere".
Si minaccia ora un altro concetto caro ai politici: "Se il popolame viene lasciato libero nella prateria muore di fame perché nessuno gli dice che deve mangiare l’erba che calpesta". Tale concetto poteva funzionare in epoche dittatoriali più che in quelle che ci spacciano per democratiche (ma che in realtà si fondano su regole oligarchiche).
Inoltre viene preso come modello un dato che in comune con la rete ha solo il costo eccessivo del telefono per dimostrare la necessità di un aumento di costi quando si otterrebbe un risultato maggiore riducendo i costi del cavo telefonico, liberalizzandone la gestione ai cittadini e non costringendoli a passare attraverso regimi monopolistici. Se noi potessimo "tirare un cavo" che ci collega al nostro vicino di casa (essenza base di Internet di cui le aziende telefoniche hanno assunto il controllo senza alcun diritto), entreremmo in Internet a costi dimezzati (potrei leggermi i documenti on-line anziché stamparli per leggerli con calma dal momento che il telefono costa. Quindi, più Internet = più ecologia. Lo ammetteva anche "l’esimio presidente" precedentemente. Il cavo lo paghiamo noi, passa sul nostro terreno (e quello del nostro vicino ovviamente), la manutenzione la paghiamo noi (sono tutti costi verificabili sulle bollette del telefono), per quale motivo dobbiamo pagare anche "un tanto" per ogni secondo d’utilizzo del cavo, che abbiamo già abbondantemente pagato, alla Telecom?
Naturalmente, ci sono molti suggerimenti su come spendere le entrate raccolte per mezzo della "bit-tax". Il HLEG ha proposto il suo uso come strumento per finanziare il sistema di sicurezza sociale in Europa. Non discuteremo estensivamente qui questo argomento. Tuttavia, diremo che a prima vista questo sembra essere il passo più logico, date le implicazioni sulla distribuzione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione e le sfide che l'emergere della SI sta ponendo alle politiche di coesione sociale, particolarmente nei Paesi europei con sistemi di welfare altamente sviluppati ma costosi. In via di principio l'uso delle entrate addizionali della "bit-tax" per finanziare ad esempio i contributi al sistema di sicurezza sociale dei lavoratori in paesi coma Belgio, Olanda, Francia, Italia o Germania potrebbe portare ad una sostanziale riduzione del costo del lavoro, fornendo così se non altro nuovi incentivi per la creazione di posti di lavoro e un miglioramento della competitività. Sono citati alcuni nobili utilizzi del denaro ricavato (come la creazione di posti lavoro) per costringere a sopportarne l’onere, ma contemporaneamente afferma che non ci si soffermerà troppo sul dove andranno a finire realmente i soldi, come se fosse un dettaglio trascurabile. Ma, probabilmente, è solo per non doverne giustificarne il reale utilizzo: mantenere burocrati inutili, sapienti che copiano la Bibbia, presidenti che non supererebbero un esame liceale di logica ed economia, "auto blu", scorte statali, palazzi per ospitare riunioni inconcludenti, deputati, senatori, sottosegretari, ministri, commissioni, pensionati di lusso e baby-pensionati, falsi invalidi, faccendieri, censori, servizi segreti deviati (ma una volta non si chiamavano terroristi? O quando sono statali si trasformano in "santi"?) ed altri parassiti della società. Ognuno di loro rappresenta una goccia nel mare dello sperpero, ma, come diceva "Totò": "è la somma che fa il totale". Se eliminiamo le singole gocce, eliminiamo il mare. Se invece continuiamo ad aggiungere acqua lo ingrossiamo senza risolvere il problema. D’altra parte il termine economia è sinonimo di risparmio non di sperpero. Un "esperto" del settore dovrebbe ottimizzarla, non affossarla.
L'impatto della "bit-tax" su particolari gruppi nella società, settori o industrie, rimane una questione molto aperta e dipende, come già detto, dal volume delle entrate fiscali e dalle risposte degli individui e delle aziende all'imposizione di una "bit-tax". Ovviamente, la proposta pratica di una politica dovrebbe, come già si evince dal rapporto del HLEG, essere accompagnata da misure che affrontino il problema dell'esclusione dalla SI e anche possibili esenzioni da una "bit-tax". Si cominciano a gettare le basi per una complicazione nel calcolo della tassa, con l’obbiettivo di creare la necessità di commissioni di studio, personaggi di contorno addetti al mantenimento, burocrati vari che intascheranno, con uno stipendio regolare e, purtroppo, legale, gli introiti della "bit-tax", creando così la necessità di una nuova tassa e quindi l’indispensabilità del posto di lavoro ricoperto dal "nostro presidente" pieno di buoni propositi vessatori.
Sotto il titolo di "Universal service obligation" il gruppo di esperti ha preso in considerazione questo problema raccomandando la necessità di "...investigare più in dettaglio se, per evitare esclusioni e preservare la coesione regionale, l'attuale nozione di "servizio universale" non debba essere portata nella direzione di una nozione di "servizio universale alla comunità", estendendo le clausole del servizio universale per incorporare un livello minimo di accesso ai nuovi servizi dell'informazione ma limitato nella sua obbligazione universale a istituzioni educative, culturali, mediche, sociali o economiche delle comunità locali. Un concetto di USP così conformato significherebbe in effetti un ritorno al concetto di "universalità" come introdotto negli USA nell'ultimo secolo con l'avvento del telegrafo. Esso garantirebbe accesso aperto al network e ai servizi di trasmissione e comprenderebbe, quando necessario, fondi pubblici per assistenza finanziaria e tecnica". Questo obbligo di servizio universale alla comunità implicherebbe praticamente per definizione varie possibilità di esenzione dalla "bit-tax" (ospedali, istituzioni culturali, etc.), come è oggi comune per la VAT. Sotto il titolo di "Universal service obbligation" viene annunciata la possibilità per i cittadini più amici (la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale che per altri) di ottenere esenzioni totali. È, infatti, abbastanza comprensibile l’esenzione da parte degli ospedali, un po’ meno quella degli enti culturali in quanto fondati sull’informazione e quindi maggiori beneficiari di Internet (un buon amico del "presidente" può fondare un circolo culturale sulla "diffusione della pasta con le sarde nel mondo" per ottenere dallo stato la possibilità di utilizzare Internet gratuitamente per le proprie transizioni d’affari), ma ciò che più preoccupa è l’etc. finale. Questo lascia aperte una serie di possibili evasioni anche da parte dell’amico dell’uscire e non solo dall’amico del ministro cercando di legittimare quella corruzione che da un po’ di tempo (sempre troppo tardi) si sta cercando di combattere.
Una "bit-tax" potrebbe essere utile anche a risolvere i problemi di diritto di proprietà intellettuale associati ai networks. Nell'era dell'informazione il problema è divenuto più importante a mano che è divenuto crescentemente difficile ricompensare gli individui e le organizzazioni per il loro lavoro. Per mezzo dei networks gli individui possono inviare copie perfette di lavori digitalizzati a chiunque o fare l'upload di una copia a un bullettin board o ad altri servizi dove migliaia di persone possono scaricarlo o stamparne delle copie. Questo tema è di ovvia importanza per il compenso ma anche per l'uso del network. Creativi, editori e distributori di "output" potrebbero divenire o sono divenuti diffidenti del network, a meno che non vengano sviluppati strumenti per ricompensarli del loro lavoro. Così, se non verranno risolti i problemi dei diritti di proprietà individuale i creativi, le professioni ed altri detentori di diritti di proprietà individuale potrebbero essere scoraggiati dalla vendita on-line riducendo così l'uso del network. Essi non vorrebbero mettere a rischio i loro investimenti. Dato che la "bit-tax" richiederebbe una qualche "itemizzazione" del servizio, potrebbe essere sviluppata per aiutare a raccogliere i compensi per i diritti di proprietà individuale. Questa idea è simile a quella della piccola tassa che esiste in molti paesi sulla fotocopiatura, che rappresenta un pagamento comune per i copyrights. Il controllo dei dati prelevati (e da chi) esiste già sulla rete. Chi vuole può applicarlo anche senza la presenza della "bit-tax".
Il controllo prospettato non riguarda il contenuto dell’informazione (come più volte citato dall’autore della relazione. Bensì il controllo della quantità dei dati trasmessi. Non è importante il proprietario di tali dati. È un po’ come affermare che potremmo utilizzare la "bit-tax" per incentivare le mucche a fare più latte.
Non conosciamo la legge sulla fotocopiatura, ma sappiamo che la maggior parte di fotocopiatrici è presente in aziende e serve per duplicare bolle e fatture. Di chi è il copyright dei documenti fiscali? Proponiamo un’altra tassa a favore del governo in quanto legittimo "proprietario" di copie di documenti inutili.
Ma questo non è certo la sede per trattare i possibili usi di qualcosa di così speculativo e controverso come una "bit-tax". Lo scopo di questo breve documento è mettere assieme alcune delle ragioni principali sul perchè ci sia, almeno a nostro avviso, un bisogno urgente di investigare la fattibilità di una nuova nozione di tassazione. La nostra speranza non era contraddire i molti "criticasters" ma piuttosto fare riflettere un po' più a lungo quegli utenti di Internet, esperti di comunicazioni o politicanti che hanno respinto l'idea in maniera immediata, spontanea, "cyber-like", su alcune delle argomentazioni qui presentate. Il volume e la velocità delle reazioni ricevute finora non è riuscito a convincerci del fatto che non ci sia una ragione forte per non analizzare la questione. Concordiamo sul fatto che sia necessario modificare la nozione di tassazione, ma deprechiamo fortemente l’idea che nuova forma significhi incrementare il vecchio sistema. Sarebbe interessante studiare forme di recupero dello stipendio nei confronti di coloro che, con idee disastrose per la comunità, danneggiano fortemente il paese. Questa sarebbe una nuova forma di tassazione con il vantaggio che incentiverebbe una reale ponderazione dei problemi anziché il modo di procedere per tentativi.
Il "presidente", dall’alto della sua "sapienza", analizzando solo il volume e la celerità dei pareri negativi ricevuti senza neppure provare a considerarne il contenuto, c’invita ad una riflessione maggiore, perché, secondo la solita logica personale, il risultato non può essere che a favore dell’istituzione di una nuova (vecchia) forma di tassazione. Presunzione? È tipica delle analisi superficiali come quella che c’è stata presentata come "miracolosa" dal "nostro colto presidente".
È quest'ultima affermazione sicuramente molto inquietante. Si sostiene infatti che, nonostante il parere negativo della maggioranza delle persone (regola base della democrazia), la ragione stia sicuramente nelle mani del "presidente" e della "commissione di esperti". Ovviamente nessuno pretende di rendere cosciente il "presidente" sull’inconsistenza della proposta. Se ciò fosse possibile avrebbe già scartato autonomamente l’ipotesi con una semplice analisi più dettagliata (probabilmente ora non farebbe "l’esperto economista" ma qualcosa di cui è realmente esperto o, in mancanza di tale possibilità, di facile apprendimento). Il nostro obiettivo è illustrare ai lettori la scarsa competenza (e ci auguriamo molto che sia così, perchè altrimenti sarebbe malafede, cioè consapevolezza di trattare gli utenti come pecore in grado di bere ogni possibile trucco politico) di coloro che pretendono d’essere le nostre guide nel governo dell’Europa.

 

 


Ivano Miselli

ivm

15 ago 1999